Prevenzione del suicidio e sport: il caso dei giovani studenti-atleti

Molti atleti, all’interno della loro carriera sportiva, si sono ritrovati ad affrontare periodi neri caratterizzati da guai fisici e psicologici o situazioni improvvise di paura e di fragilità, e che da questi siano ripartiti a vincere: pensiamo ad esempio a Federica Pellegrini che è tornata a vincere dopo aver pensato di morire inghiottita dall’acqua della piscina.
Dall’altra parte però il perdere nello sport è dovuto anche da imprevisti chiamati “infortunio” o “malattia”, e la morte è presente nel mondo dello sport così come in altri luoghi della vita, e la depressione si rivela spesso anticipatoria di questo fenomeno. Esempi li possiamo ritrovare con il portiere tedesco dell’Hannover Robert Enke, che nel novembre del 2009
morì gettandosi sotto un treno, oppure nella scomparsa della pluricampionessa di ciclismo su pista statunitense Kelly Catlin, la quale vinse l’ argento alle Olimpiadi di Rio.
All’interno di un contesto in cui i maggiori problemi di salute pubblica al mondo come la depressione che colpisce 322 milioni di persone (numero destinato ad aumentare) e il suicidio, seconda causa di morte dei soggetti tra i 15 e i 29 anni e con un tasso di mortalità globale di quasi 800.000 all’anno (un decesso ogni 40 secondi!), che ruolo può avere l’attività sportiva?
L’ International Journal of Sport Psychology, riesaminando la ricerca sulla correlazione tra attività fisica e coinvolgimento nello sport e il suicidio, conferma come il tasso di suicidalità, che comprende l’ideazione e i tentativi di suicidio, fosse più ridotto negli adolescenti coinvolti in attività sportive di squadra, e di come incidessero in maniera significativa le
differenze etniche, culturali e di genere.
Inoltre, nel 2015, è stato pubblicato uno studio in cui prendendo in esame un campione di studenti-atleti appartenenti alla National Collegiate Athletic Association, e confrontandolo con un campione di controllo costituito da non studenti-atleti di età simile, è emerso come l’implicazione in reti sociali strutturate conferiscano un effetto protettivo contro i comportamenti suicidari.
I risultati fin qui emersi sono chiari ed incoraggianti per fare ulteriori studi, a mio avviso necessari: va precisato che i campioni presi in esame riguardano adolescenti e giovani adulti all’interno di sport di squadra e che le ricerche sono di natura prevalentemente correlativa, e che per questo non esplicitano l’esistenza di una relazione causa-effetto.
Sappiamo come l’inserimento all’interno di una rete sociale strutturata, come quella del College, possa rivelarsi protettiva anche contro l’isolamento sociale, ma al momento non sappiamo se incidono altre variabili come ad esempio il ruolo della salute mentale oppure più specificatamente il ruolo dell’autostima o della depressione (chi è depresso difficilmente prenderà parte ad attività sportive).
Inoltre non abbiamo informazioni sull’influenza che può avere la tipologia di sport praticato, non solo di squadra ma anche individuale, in modo da poter comprendere se è la pratica dell’attività sportiva in sé oppure l’interazione sociale nello sport a dare effetti benefici non solamente a livello fisico, ma anche a livello psicologico contro la depressione e i
comportamenti suicidari. In più è necessario comprendere in maniera più chiara e completa l’effetto di queste possibili variabili all’interno di un campione adulto, vista la non uniformità dei risultati emersi.
Il fenomeno del suicidio è un tema tanto sensibile quanto complesso, visto che i dati ricavati riguardano suicidi effettuati da soggetti che hanno fatto parte di un ambiente circoscritto, e non sono di facile reperibilità al di là dell’ausilio di una base volontaria (voluntary database), dato il possibile numero oscuro riguardo elementi inerenti anche ai tentati suicidi.
Infine, proprio perché il contesto riguarda una tematica complessa, sarebbe opportuno un approccio multidisciplinare che coinvolga figure mediche, educative e psicologiche, in modo da poter fronteggiare e prevenire fenomeni come quello fin qui menzionato, in cui l’ambito clinico e sportivo si intersecano in maniera incisiva.

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