All’ interno del mondo dello sport, la maggioranza degli atleti ha avuto modo di sperimentare forme più o meno gravi di infortunio, e tale esperienza viene rappresentata come un momento critico in quanto la sua gestione, e quella dei periodi di inattività ad esso correlati, si rivelano decisive per lo sviluppo successivo della carriera dell’atleta e per il suo livello generale di benessere.
Per lungo tempo un corpus modesto di ricerche ha supportato in maniera schiacciante come i fattori fisici siano la causa primaria degli infortuni sportivi, visto che quelli acuti sono direttamente legati alle caratteristiche fisiche di un atleta.
Di recente si sta dimostrando come questi eventi siano di natura multifattoriale, visto che alcuni fattori di rischio anche molto diversi fra loro interagiscono nel processo di genesi degli infortuni sportivi. Tali fattori di rischio si interconnettono sia alla tipologia di sport e all’attività motoria svolta (cause estrinseche), sia alle caratteristiche psicologiche e fisiche dell’atleta (cause intrinseche): fattori psicologici come ad esempio eventi stressanti dentro e fuori dal campo sono fattori antecedenti che possono contribuire al rischio di infortunio al di sopra e al di là dei fattori fisici e ambientali.
Lo stress-injury model stilato dagli psicologi dello sport Jean Williams e Mark Andersen (1988, rivisto nel 1998) chiarisce come la relazione tra infortuni sportivi e variabili psicosociali sia mediata principalmente dalla percezione e dalle risposte allo stress di tipo cognitivo e a livello di cambiamenti fisiologici e attentivi: lo stress causa cambiamenti attentivi (ad esempio, restringimento dell’attenzione, distrazione generale, aumento dell’autocoscienza) che interferiscono con le prestazioni di un atleta, ed è stato dimostrato che lo stress provoca un aumento della tensione muscolare e difficoltà di coordinazione che aumentano di coinseguenza il rischio di lesioni dell’atleta.
Più nello specifico, l’infortunio non coinvolge solamente tutto ciò che riguarda il dolore, le temporanee restrizioni motorie, la possibilità di cambiamenti permanenti (area del benessere fisico) e la componente emotiva e alla gestione dell’ansia (area del benessere emozionale). L’infortunio riguarda anche la perdita del ruolo come atleta, la separazione dall’ambiente sportivo (area del benessere sociale) e la perdita temporanea dell’identità di atleta come abitualmente percepita (area del sé).
Come l’infortunio, anche la riabilitazione è vista dall’atleta come un momento critico e delicato in quanto la qualità del processo garantisce il pieno recupero ed il successivo rientro in campo.
In questa fase sono molteplici le reazioni psicologiche sperimentabili, come le emozioni negative, percepite fortemente dall’atleta nella fase acuta dell’infortunio e talvolta durante il rientro all’attività, principalmente per le preoccupazioni di un re-infortunio e l’incertezza di quello che potrebbe succedere. Frequentemente si riscontra un senso di sfiducia e di profonda difficoltà nel rivalutare o cambiare gli obiettivi e le priorità precedenti, esemplificato dal cambiamento nello stile di vita che si impone dopo un infortunio. Nel corso della riabilitazione, si sperimenta anche il senso di minaccia che riguarda l’incertezza del futuro e che può evolversi in preoccupazione e stati d’ansia, considerando che l’atleta, anche il linea con l’andamento della riabilitazione, può mettere in discussione la propria capacità di recuperare pienamente, di rientrare efficacemente in prestazione e di dover rivalutare la propria carriera.
Un’altra dimensione psicologica che un atleta sperimenta in questa fase, soprattutto per lesioni che richiedono molto tempo, è il senso di solitudine legato all’isolamento dalla squadra e dal contesto sociale che ruota intorno, tant’è vero che il supporto sociale risulta essere un elemento critico.
Visto che il recupero da un infortunio riguarda non solo le funzioni fisiche ma anche i fattori emotivi e cognitivi, e proprio perchè i fattori psicologici influenzano la natura, l’efficacia e la qualità della gestione immediata dell’infortunio, del percorso riabilitativo e del successivo ritorno allo sport, è importante che l’atleta sviluppi una serie di abilità psicologiche all’interno di un approccio multidisciplinare.
L’insegnamento delle tecniche di gestione dello stress degli atleti può ridurre i tassi di infortuni nel corso di una stagione, ma non solo: in aggiunta a tecniche di rilassamento basate sulla respirazione e/o sul rilassamento muscolare progressivo, l’utilizzo di programmi strutturati di pratica mentale o di “imagery” (traslazione di immagine mentale) portano benefici anche per la prevenzione degli infortuni, come testimonia la correlazione tra imagery (e controllo dell’arousal emozionale) e la pianificazione degli obiettivi (goal setting).
Inoltre, vista la frequenza di atleti che ritornano alle competizioni immediatamente dopo la riabilitazione fisica non pronti dal punto di vista psicologico, perché per esempio vittime di specifiche paure connesse all’infortunio subito, si è rivelato utile anche l’ultilizzo del metodo EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing, ovvero “Desensibilizzazione e rielaborazione attraverso i movimenti oculari”) per ridurre le sofferenze causate dall’evento traumatico dell’infortunio.
In conclusione, all’interno di un lavoro multidisciplinare che coinvolge medici dello sport, allenatori, preparatori atletici, fisioterapisti e laureati in scienze motorie, è opportuno integrare il contributo dello psicologo dello sport per combinare tecniche fisiologiche e psicologiche in modo da recuperare gli atleti infortunati ma anche per lavorare sugli infortuni all’interno di un’ottica preventiva.