Parlando di violenza di genere mettiamo in luce un fenomeno prevalentemente interno alle relazioni affettive. Questo è caratterizzato da dinamiche di asimmetria di potere e di opportunità tra uomini e donne e da stereotipi culturali verso le donne e il rapporto tra uomo e donna, radicato e alimentato al di fuori delle mura domestiche.
Possiamo definire questa relazione disfunzionale (per non dire patologica) una prigione non solo per la vittima ma anche per chi la violenza la infligge. Tutto questo non ha nulla a che fare con le situazioni di conflitto che, oltre a mettere alla pari gli attori coinvolti, consentono la possibilità di consolidare la relazione, o nel peggiore dei casi di far divergere le loro strade.
Inoltre la dicitura “genere” non è puramente casuale visto che si allude ad un costrutto sociale psicologicamente radicato. Ciò emerge attivamente nell’interazione umana quotidiana (basti pensare alle immagini stereotipate dell’uomo in carriera e la donna dedita alla cura della casa e dei figli, oppure all’associazione dei generi maschile e femminile con i colori azzurro e rosa!), al contrario del sesso che è dettato dalla tipizzazione dei cromosomi.
La violenza di genere, per sua natura, comporta la presenza di un “numero oscuro”, ovvero la percentuale di reati non denunciati. Per questo è difficile quantificare un numero effettivo di reati commessi di cui si ha notizia attraverso atti di natura amministrativa o, peggio, con le notizie di femminicidio.
Le donne, oltre a provare una complessità di reazioni emotive e psicologiche tra cui pensieri limitanti, si sentono sole a dover affrontare una situazione che sconvolgerebbe anche le vite di altre persone a loro care se portata allo scoperto.
Con l’emergenza generata dall’epidemia di Covid-19 è aumentato il rischio di violenza sulle donne, poiché molto spesso questa avviene dentro la famiglia, e le disposizioni normative in materia di distanziamento sociale introdotte al fine di contenere il contagio hanno reso difficoltosa l’accoglienza delle vittime, nonostante le strutture dedicate siano sempre rimaste attive.
Tra l’altro in una situazione incerta come quella della pandemia attuale, la convivenza forzata con altre persone per tempi prolungati, in spazi relativamente ridotti, diventa causa di ulteriore stress, e tale reazione è stata precedentemente studiata in etologia osservando l’aumento dell’aggressività intraspecifica.
Durante la pandemia da Covid-19, nel periodo Marzo-Giugno 2020 è più che raddoppiato il numero di chiamate al numero verde 1522 rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, passando da 6.956 a 15.280. Inoltre, dopo i mesi di lockdown dovuti alla pandemia, si è registrato anche un netto aumento dei casi di violenza virtuale, più specificatamente legate al Revenge porn. Questo termine risulta fuorviante visto che non vi è un rimando esclusivo alla vendetta né alla consensualità, presente quest’ultima invece nella pornografia (gli anglosassoni parlano anche di “image-based abuse”, abuso basato sulle immagini).
In merito alla violenza virtuale, le ricerche finora disponibili fanno emergere una situazione in forte espansione. Si stima che una donna su tre potrà essere soggetta ad una forma di violenza nel corso della vita, e che una donna su dieci abbia già subito una forma di violenza virtuale sin dall’età di 15 anni.
Ad ogni modo il legislatore con la legge del Codice Rosso, finalizzata a tutelare le donne e i soggetti deboli che subiscono violenze, per atti persecutori e maltrattamenti, ha voluto definire il Revenge porn come la “diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti” (Art. 612-ter del codice penale).
La legge sul Codice Rosso è un notevole passo in avanti per contrastare il fenomeno, e ha permesso in un anno l’apertura di 4mila indagini per i quattro nuovi reati di violenza di genere introdotti dal provvedimento:
- Il reato di sfregio del volto,
- Il già citato Revenge porn,
- La costrizione o induzione al matrimonio,
- La violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa).
Nonostante questo, e il fatto che nell’ultimo trimestre del 2023 siano aumentate le richieste al numero dedicato 1522 (30581 chiamate), la strada da percorrere purtroppo è ancora tanta.
Per concludere, la violenza di genere va affrontata sia su più livelli (es: orfani di femminicidio) sia a livello multidisciplinare (medico, psicologico, legale etc.), non solo attraverso interventi finalizzati alla sicurezza e alla tutela (anche online, garantendo uno spazio pubblico digitale sicuro e di emancipazione per tutti), ma attuando strategie di prevenzione del fenomeno ad esempio con percorsi di gestione della rabbia o dei conflitti, oppure educando già dalla prima infanzia agli stereotipi di genere i quali, come abbiamo visto, sono socialmente costruiti.
Immagine originale tratta dal Videoclip di “Alive”, brano della band italiana Ravenscry